Si sta riproponendo nel nuovo PD l’abitudine dei vecchi partiti di
concentrare incarichi organizzativi e di direzione in capo a esponenti già
impegnati in cariche politiche nelle pubbliche amministrazioni. Commissioni,
esecutivi, segretari provinciali sono rappresentati in modo quasi esclusivo
da sindaci, vicesindaci, assessori, consiglieri regionali. Naturalmente non
vi è nessuna pregiudiziale nei confronti di persone che hanno sicuramente
esperienza di lungo corso, visibilità, capacità innegabili.
Mi chiedo però se, volendo costruire un partito nuovo, sia opportuno
riproporre pari pari il pantheon dei gruppi dirigenti precedenti.
So di toccare un ganglio sensibile, visto che ormai fra eletti e cooptati
la maggioranza nel PD è rappresentata da politici di professione. Ma
in gioco non c’è, come qualcuno può pensare, una competizione
per le nomine. C’è in gioco il successo di questo partito se
fra gli elettori sarà capace di esprimere un’immagine nuova.
Le mie perplessità quindi si muovono anche da alcune considerazioni
che vorrei esporre.
Tale concentrazione:
- riduce le opportunità di partecipazione, che non può essere
solo alzare la mano per ratificare le decisioni prese sempre in un altrove,
ma significa sentirsi protagonisti, (e questo si è percepito chiaramente
nell’assemblea nazionale di Milano); suddividere incarichi e responsabilità
anche per attività circoscritte ci rende tutti attori del processo
decisionale
- crea di fatto una questione che si configura quasi come “conflitto
di interessi”; è importante che tra partito e amministratori
locali e centrali ci sia un dialogo aperto e costante, buona cosa la loro
integrazione nelle assemblee e nei coordinamenti rispettivamente nazionali,
regionali e locali, ma gli incarichi esecutivi e organizzativi interni al
partito dovrebbero essere distinti da quelli elettivi nelle istituzioni.
- il partito, specialmente in questa fase costitutiva, ha bisogno di disponibilità,
di persone che abbiano il tempo per svolgere i compiti necessari, non si può,
né sarebbe giusto chiedere di trascurare gli impegni amministrativi
per dedicare il tempo necessario all’organizzazione del partito, né
si deve considerare solo di assumere un incarico per una questione di prestigio
personale salvo poi trascurarlo per mancanza di tempo.
Non tralascio poi la questione della qualità della vita: l’impegno
politico non deve risultare totalizzante, non si deve essere costretti a scegliere
fra impegno politico da una parte e famiglia o lavoro o studio dall’altra.
Questo come donna è una cosa che conosco bene. Mi sono impegnata proprio
come donna a innovare i modi, i linguaggi, ma anche i tempi della politica.
L’impegno totalizzante, infine, rischia di far crescere il costume della
politica come professione, (piccole caste crescono), invece di considerarlo
un impegno a tempo determinato e di puro carattere volontario e di servizio.
Angelica Lubrano
Quiliano (SV)