L’aria della sera sta rinfrescando. La calura estiva, che per tutto
il giorno ha incendiato i marciapiedi della città immonda di miasmi,
si stempera nella notte asciugando il sudore annidato tra pieghe di corpi
affaticati.
Alberto ha lavorato nel suo ufficio incollato per ore al computer, l’aria
condizionata, quella maledetta aria condizionata, gli ha procurato un dolore
alla cervicale. Esce massaggiandosi il collo e si libera della giacca che
ha tenuto addosso tutto il giorno con l’eleganza di un manichino. Cinquantotto…
oggi compie cinquantotto anni. Non può fare a meno di elencare con
un rapido bilancio i punti salienti della sua vita. Due figli, un divorzio
alle spalle e la relazione con Clara… una litania di alti e bassi, liti
e riappacificazioni brevi e intense. Decide di fare un salto al sindacato.
Pochi minuti soltanto. Il tempo di sapere qualcosa di più sulla vertenza
che riguarda la sua categoria. Una scusa banale per incontrare gli amici di
un tempo. Beppe, occhiali, un riportino niente male per nascondere l’incipiente
calvizie, Franco precocemente ingobbito sulla tastiera di un computer e poi
Giulio, Andrea… Tra loro, i contatti si sono mantenuti più stretti,
l’attività sindacale li ha accomunati. Con lui si vedono qualche
volta per una partitina a biliardo o come stasera che è andato a stanarli
nel loro covo. Lui non si sente più amalgamato a loro. Lui ha fatto
un minimo di carriera e gli sembra che lo guardino come chi “sta dall’altra
parte”. Spesso se ne rammarica, ma poi si consola convincendosi che
è soltanto una sensazione. Cinquantotto tondi tondi, sta scivolando
irrimediabilmente verso i sessanta. Ginnastica, pancia in dentro, qualche
escursione in montagna... ma ci sono, Alberto, è inutile che tu ti
nasconda dietro un dito.
La maturità, l’esame di laurea, i torciglioni nella pancia per
la paura, incollare manifesti, scendere in piazza per il Vietnam, sperare
in soluzioni più avanzate, far parte di un movimento di contestazione,
inventare slogan… momenti di vita intensa. La sua vita. Lontana. Quel
pezzo di vita che non sembra più appartenergli. Quella dell’altro
Alberto. Credulone, convinto fino allo spasimo della serietà dei suoi
proponimenti di cambiare il mondo… Ogni tanto ha bisogno di rivederli
quegli amici. Ha bisogno di mescolarsi a loro per cercare, invano, di ricomporre
l’euforia che alla fine degli anni sessanta li aveva tenuti svegli fino
a notte inoltrata con la convinzione che le idee di rivoluzione, annegate
nella Coca cola di un pub, avrebbero trasformato il mondo. Alberto è uscito tardi dal sindacato, da quella baraonda di fogli,
leggi, leggine e cartacce e ha trovato Clara ad attenderlo, inquieta e nervosa.
Si è dimenticato di lei. Non può confessarglielo. Non può
dirle a muso duro che lei è l’effimero oggi, mentre i compagni
appena lasciati sono la realtà integrante di sé, della sua giovinezza
e per questo amati e vivi nella nicchia dei ricordi. Lei non era ancora nata
quando dal miracolo di un televisore in bianco e nero un giornalista dalle
orecchie a sventola enunciava quei fattori di politica internazionale che
contribuivano a creare una forte instabilità nei rapporti tra Stati
Uniti e Unione Sovietica. Con loro, ma specialmente con Beppe che era il più
“grande” del gruppo, aveva incominciato a discutere di problemi
sociali, aveva incominciato cioè a avere la consapevolezza che non
esisteva soltanto il suo orticello peraltro mal coltivato. Alberto non aveva
idee chiare in merito, ma le parole “guerra fredda” e “minaccia
atomica” gli mettevano dentro un senso d’impotenza subordinato
alla voglia di dire “ci sono anch’io”. Hiroshima e Nagasaki
erano soltanto nomi per lui, ma ancora bruciavano sulle labbra dei suoi genitori
come un gemito di morte. Sentiva a istinto che la situazione internazionale
stava capovolgendo i suoi dogmi. Le notizie sulle lotte di liberazione dal
colonialismo di paesi del Terzo Mondo, l’esito positivo della rivoluzione
castrista a Cuba, le rivolte dell’America Latina contro l’imperialismo
americano, il “non allineamento” di numerose nazioni in Africa
e in Asia facevano supporre che il mondo fosse aperto ad accogliere equilibri
più avanzati. Dal magma del caos personale che si portava in testa
emergeva un’urgenza che lo tormentava. La ricerca di obiettivi, il baratro
delle ambiguità ideologiche, la mancanza di un riferimento concreto
erano la causa di una eccitazione nervosa che non gli permetteva di prendere
sonno facilmente. Si addormentava quando i primi chiarori di un nuovo giorno
filtravano dalle persiane e il suono della sveglia lo rimetteva in riga con
i suoi doveri di studente. Non voleva vivere così, non lo voleva proprio.
Confusamente capiva che la sua generazione, al contrario di chi aveva alle
spalle le agonie di una lunga guerra, era protesa verso una nuova frontiera.
La frontiera del “miracolo economico”.
Pochi giorni fa Alberto ha letto che alcuni studiosi, quali Giovanni Arrighi,
Immanuel Wallerstein, Marco Revelli hanno proposto addirittura un parallelo
tra i movimenti del 1968 e del 1848. Il loro giudizio su quelle rivoluzioni,
a suo parere fin troppo severo, appare supportato da un’attenta analisi
del processo storico. Hendrix. Allora non gli era neppure passata per la testa l’esistenza
di forti contraddizioni. Pacifismo e prassi rivoluzionaria, lettura dei testi
marxiani e lettura di fumetti. Se ne rende conto soltanto oggi che tutto ciò
contribuiva a creare lo spazio comunicativo aperto nel quale riuscivano a
convivere istanze culturali, sociali e politiche anche assai diverse. A ben
pensare quel tipo di cultura, d’altronde, è stata una delle manifestazioni
più imponenti della storia delle idee del secolo scorso e con le esperienze
recenti viene facile pensare all’influenza che ha subito la classe dirigenziale
di oggi nell’economia, nella politica e nella comunicazione.
La voce di Clara, resa stridula dall’irritazione, interrompe bruscamente
il filo dei pensieri, eco delle recenti discussioni in sindacato. Non risponde
neppure. In fondo in fondo sa che non può pretendere di tenere in piedi
un legame con una giovane donna e non darle niente… Eppure entrambi
amano le nebbie portate dal mare, le stelle ferme come pietre nell’umido
della notte, il profumo dei gelsomini, l’alito del vento sulla pelle…
Forse non basta. Non basta amare un pugno di cose per stare insieme, non basta
lasciarsi alle spalle la vita che ti ha plasmato per correre incontro a una
nuova esperienza soltanto per risentire l’eco della giovinezza.
L’aveva conosciuta un giorno d’autunno turbinante di foglie rosse
come i suoi capelli. L’aveva amata? L’ama ancora? Lui, come ogni
uomo, è la somma dei propri gesti, delle proprie parole e i suoi gesti
e le sue parole gli suggeriscono di restare solo, solo come canna oscillante
in una foresta di canne oscillanti sul greto di un fiume.
L’essere umano non cambia. Accumula esperienze di vita, errori, speranze,
illusioni, ma a diciotto come a trenta come a cinquanta, pur modificandolo,
mantiene nell’agire lo stesso denominatore comune. Lui ha sempre avuto
rapporti problematici con le donne. A diciotto il modello di donna era sua
madre, sempre servizievole e sottomessa a suo padre. Non corrispondeva neppure
un po’ a quella ragazzetta bruna dagli occhi di cerbiatta, di cui per
sua sfortuna era innamorato. Dall’alto dei suoi tacchi a spillo e infilata
in un tailleur rosa confetto, si difendeva dal suo maschilismo enunciando
tematiche di liberazione individuale. Impegnato com’era a districarsi
tra la scuola, lo studio, le riunioni di cellula sempre più ravvicinate,
non aveva tempo di sciacquarsi via di dosso i retaggi di una vecchia educazione.
Purtroppo, però, si trovava a pensare a lei più di quanto avrebbe
desiderato. Nel bel mezzo di una riunione, con una fitta al petto, s’illuminava
nella mente la visione delle sue gambe affusolate, la morbidezza della sua
pelle sconosciuta…Lui, ormai, non era più un ragazzino se pensava alla rivoluzione.
Sognava una grande donna che lo sostenesse innamorata e fedele, bevesse, ad
occhi socchiusi, le sue scorribande mentali considerandolo un eroe.Lei era
fin troppo sveglia per i suoi gusti. Lo rigirava sul dito a suo piacimento
mancando agli appuntamenti e dandogli spesso dei punti in perspicacia e logica.
Si erano lasciati, senza, forse, essersi mai presi.
Su di lui era caduta una cappa di malinconia. Si era buttato a capofitto nella
contestazione a casa e a scuola tanto da suscitare nell’insegnante di
letteratura un brivido di antipatia e delusione.
“Sono alti e bassi dei ragazzi che crescono” cercava di minimizzare
sua madre.
“E’ l’ora di finirla con queste mattane. Da domani si cambia
registro” tuonava suo padre che non aveva digerito il quattro in italiano.
Era rimasto a casa a studiare mentre veniva assassinato Martin Luther King.
Mentre si compiva la terribile strage di Piazza delle 3 culture a Città
del Messico. Mentre il manifesto dove gli atleti afroamericani Tommy Smith
e John Carlos, alla premiazione olimpica dei 200 metri piani, con il pugno
chiuso in segno di protesta, segnavano l’adesione al movimento dei Black
Power.
Con la gente di casa era diventato chiuso e indisponente.
La notte dormiva a capitoli e, tra un capitolo e l’altro, si faceva
domande alle quali non sapeva darsi buone risposte. Era preoccupato. Dopo
i fatti di Valle Giulia, a Roma, dove gli studenti si erano scontrati con
la polizia, era più consapevole. “Prima” era stato quasi
un gioco scendere in piazza, gridare gli slogan in rima, sentirsi sicuro con
la forza dell’unione, protetto dalla massa colorata che si riversava
per le strade. “Ora” sapeva. Sarebbe potuto succedere anche a
lui di trovarsi davanti all’”oggetto del contendere”. D’altronde
non era affatto strano che esistessero diffidenze verso gli studenti. Nell’esperienza
storica di chi aveva visto nascere il fascismo, essi potevano rievocare il
ricordo dell’interventismo, dell’avanguardismo giovanile. Era
ancora troppo fresca la ferita di chi aveva vissuto il fascismo e la guerra
per fidarsi degli studenti e non considerarli un gruppo sociale pericoloso.
Al momento opportuno sarebbe riuscito a rimanere al fianco del movimento operaio
tradizionale, a suscitare speranze nell’opinione pubblica progressista,
a scindersi dal gruppo dei violenti e degli “estremisti”? “Edizione della sera! Della sera! Della sera!
Italia! Germania! Austria!”
E sulla piazza, lugubremente listata di nero,
si effuse un rigagnolo di sangue purpureo!
………
Alla città accatastata giunse mostruosa nel sogno
la voce di basso del cannone sghignazzante,
mentre da occidente cadeva rossa neve
in brandelli succosi di carne umana. *
*(da La guerra è dichiarata di Vladimir Majakoskij)
I versi ruotavano incessanti, il cervello ne era pieno. Piazza, sangue, dolore,
morte…
Un tumulto di idee rese più tragiche dal buio della notte.
E la paura. L’affanno. Il terrore.
Domani la manifestazione in piazza. Dovevano gridarla tutti assieme l’opposizione
alla guerra. Forte, massiccia, compatta. I compagni lo aspettavano. Alle dieci
in punto davanti al monumento. Non poteva tradirli. Oppure sì. Poteva.
Poteva perché “ora” sapeva. Non ce l’avrebbe fatta.
Un possibile scontro con la polizia, la fuga tra i carruggi, le gambe di ricotta,
il cuore che scendeva nei calzini per rimbalzare direttamente in gola…
Avrebbe tradito se stesso, la sua natura. Fino allora aveva giocato al rivoluzionario.
Oltre non sarebbe stato più in grado di andare.
L’indomani, alle dieci, giaceva ancora avvoltolato su se stesso, nelle
lenzuola sudate. In ritardo per la rivoluzione, ma giusto in tempo per sputare
su quella faccia pallida, invecchiata in una notte, che lo specchio rifletteva
nell’impietosa luce del nuovo giorno.
Fatti di una vita fa. Soltanto la psicanalisi potrebbe stabilire quanta influenza
hanno avuto sui comportamenti e sulle decisioni. Bisogna tirare avanti, Alberto!
Bisogna dimenticare. Ma questa sera il tarlo rode. “Loro” ci avevano
creduto. Avevano creduto alla sua malattia, alla convalescenza in campagna
nella casa della nonna. Avevano creduto a tutto pur di non crederlo un vigliacco.
Ma rivedere i vecchi amici come se nulla fosse accaduto, non è mai
stato facile. Specialmente questa sera. La sera dei bilanci.
Clara è già in fondo al viale. Le sue ultime parole se l’è
portate via il vento.
Alberto compone un numero sul cellulare e, con la voce sicura di chi nella
società occupa un posto di rilievo, disdice la cena per due prenotata
oggi dalla sua segretaria.
Antonietta Cavallero