Esco a fumare, ho bisogno di schiarirmi le idee e questo maledetto vizio
mi aiuta, alibi peraltro non vero.
Penso, penso alla mia situazione di figlia unica, rimasta recentemente ed
improvvisamente orfana.
Dovrei sentirmi finalmente libera, avendo, per quasi tutta la mia esistenza,
subito continui condizionamenti, ricatti e quant’altro.
Nonostante ciò, mi sento sola, non propriamente per la mancanza fisica
che bene o male riesci ad elaborare e a compensare. Nervosamente mi porto
la sigaretta alla bocca.
Che rabbia, perché sento che una parte della mia identità se
ne è andata? Perché banalmente penso che ora non potrò
più parlare nel mio dialetto e ricordare storie antiche di tradizioni
che ormai si perderanno definitivamente?
Perché questa è la realtà, perché ho vissuto l’infanzia
in un paese di campagna con storie ed usanze che si sono radicate dentro inconsapevolmente
ed ora mi vengono a mancare, perché se in passato ne parlavi, spesso
anche con noia, ora non ne puoi più parlare con nessuno. Questa circostanza,
che spero transitoria, ti dà una sensazione di non appartenenza.
Mi accorgo che, presa da questi pensieri, sto anche gesticolando e dalla sigaretta
esce un filo di fumo che forma un cerchio perfetto, accidenti, non mi è
mai riuscito, nemmeno impegnandomi di proposito!!
Penso, penso a cosa potrò fare ora libera, senza vincoli e mi accorgo
che ho vissuto così tanti anni in funzione di altri che non so come
organizzarmi il cambiamento, pazzesco, ho quasi una forma di panico solo all’idea
di affrontare lontane esperienze di viaggio e conoscenza.
Io non sono così. La sigaretta è alla fine. Con eccitazione
penso che quando finirò i pacchetti di scorta, finalmente uscirò
a comprarle. Le maledette. E poi? E poi si vedrà!
Adriana Antonielli